Nel 2010 viene rilasciato il documentario Marwencol, la storia di un uomo
Mark Hogancamp che reduce da un pestaggio di natura “gender fobica” subisce una perdita di memoria e di alcune abilità motorie. Una violenza che lo costringe ad abbandonare la sua vita da illustratore per abbracciare una alta forma d’arte – la fotografia- dove creerà un mondo fantastico utilizzando bambole e ricostruzioni.
Una storia incredibile, che attira l’attenzione del regista
Robert Zemeckis che decide di usarla come canovaccio per Benvenuti a Marwen. La sua trama rielabora con il medium cinematografico l’elaborazione del dolore del suo protagonista. Il regista sfrutta i vantaggi del cinematografo per rafforzare le metafore che si nascondono nelle fotografie di Mark, nel suo modo di alterare la realtà che lo ha traumatizzato esorcizzandola attraverso l’uso delle sue bambole e la creazione di un mondo parallelo dove – in qualche modo – sentirsi a suo agio
Lo spettatore vedrà sovrapporsi e alternarsi il mondo di carne e quello di plastica, la vita di Mark e quella di Hogi – il suo alter ego a Marwen – sono però legate a doppia mandata dalle figure femminili, che in entrambe le vite lo proteggono e si prendono cura di lui, proteggendo l’anima dell’uomo, che nella metafora elaborata dalla mente del fotografo finisce per rappresentare l’intero villaggio belga.
Steve Carell sfodera una prestazione realmente maiuscola, in grado di mostrare tutta “l’umanità” e il sentimento dietro la pellicola, rendendo quasi impossibile non provare empatia con il suo Mark.
La commistione di live action e stop motion di Benvenuti a Marwen si mantiene in equilibrio, una sfida ambiziosa e fantastica che Zemeckis sembra decisamente aver vinto.
Nonostante questo la storia di Mark Hogancamp è da guardare con gli occhi giusti e la mente aperta, quella che non avevano gli uomini che lo hanno pestato, cambiando per sempre la sua vita.
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